Le quisquiglie di Oronzo Mazzotta
Novoli, 16/01/2001: la alunne della locale Scuola Media eseguono l'Inno alla fòcara.
Su “Le Fasciddre te la Fòcara” del 17 gennaio 2013, pp. 33-34, compare un contributo di Oronzo Mazzotta dal titolo “Quisquiglie novolesi sullo stradario, sulle radici e sulla fòcara”, nel quale, come suo solito, l’autore cerca di prendere in giro amministratori e cittadini novolesi. Non mi occuperò di quanto il prete osserva in merito allo “stradario” ed alle “radici”, perché non sono stato chiamato in causa. Voglio soffermarmi, invece, su ciò che ha scritto intorno alle origini della fòcara.
In via preliminare vorrei un po’ indugiare sul titolo dell’articolo che contiene il termine “quisquiglie”, perché la dice lunga sulla mancanza di rispetto che anima il Mazzotta nei confronti dei suoi compaesani. Orbene, se il lettore ha la pazienza di consultare qualsiasi vocabolario italiano, troverà che il lemma in questione ha il significato di “cosa, argomento di nessuna importanza”, ed ha come sinonimi “sciocchezza, bazzecola, inezia, nonnulla, fesseria, minuzia, stupidaggine, banalità di nessuna importanza”. Se poi, caro lettore, prenderai in mano qualsivoglia vocabolario di lingua latina, che è la mamma della nostra lingua, ed andrai a “quisquiliae- arum”, avrai la sorpresa di imbatterti in questi significati: “immondezza, feccia, rifiuti, pattume, scarti, scorie, spazzatura”. Famosissimi i versi 76-77 del Canto XXVI del Paradiso in cui Dante usa il termine quisquilia nel significato di impurità allorché dice: “così degli occhi miei ogni quisquilia fugò Beatrice col raggio d’i suoi”. Poiché ho a cuore la memoria di chi ci ha preceduto, mi sento di rispedire al Mazzotta il termine “quisquiglie” perché “nullius momenti” (= di nessun conto, di nessuna importanza) è stato il suo tentativo di difendersi dalla mia accusa di giocare di fantasia allorché a p. 28 del suo Novoli. Ritorno alle radici, afferma che al tempo del vescovo di Lecce Luigi Pappacoda, nel 1664, “il popolo [novolese] fece la proclamazione, la processione e accese la fòcara” in onore di Sant’Antonio Abate.
Possiamo senza alcun dubbio affermare che l’Università ed il clero di S. Maria de Novis fecero la proclamazione di volere S. Antonio come protettore perché abbiamo i documenti, redatti rispettivamente il 20 gennaio 1664 (per l’Università) e il 22 gennaio dello stesso anno (per il clero), custoditi entrambi presso l’Archivio della Curia dell’Arcidiocesi di Lecce (Assensi, busta 14, fascicolo 11, ff. 6r-7r, f. 4rv). Il 28 gennaio 1664 il vescovo Luigi Pappacoda “[…] dictae electioni annuit et suum assensum praestat” (Assensi, busta 14, fascicolo 11, f. 1r). A tutt’oggi, invece, per quanto concerne la fòcara, il documento più antico è datato 18 gennaio 1893: trattasi di un articolo apparso su “La Gazzetta delle Puglie, anno XIII, n. 4, 21 gennaio 1893, p. 2, da me integralmente pubblicato nel mio libro del 2012 intilolato Sulla fòcara di S. Antonio Abate a Novoli. Note e documenti.
Il Mazzotta, per sminuire l’impor- tanza del mio succitato libro, afferma che io avrei “scartabellato non solo le carte comunali, ma, anche quelle della Curia Arcivescovile di Lecce”. Anche per il verbo scartabellare, caro lettore, ti consiglio di consultare il vocabolario d’italiano perché vi troverai i seguenti significati: “sfogliare in fretta le pagine di un libro, scorrere in fretta pagine o fogli di un libro o di un incartamento per una consultazione sommaria, frugare tra le carte, voltare e rivoltare con poca attenzione le carte di uno scartabello, cioè di uno scritto, di un libro”. Pertanto, oltre che improprio, il verbo scartabellare, adoperato dal Mazzotta nei miei confronti, è oltremodo ingeneroso, per non dire offensivo, se è vero, come è vero, che alla mia certosina ricerca devesi:
1) la correzione della traslitterazione dei summenzionati documenti effettuata da Pietro De Leo nel gennaio del 1971 su incarico di Don Gennaro D’Elia, all’epoca parroco della Chiesa di Sant’Antonio Abate;
2) la traslitterazione di tutti gli altri documenti della primavera-estate 1737, allorché clero ed Università novolesi ripresentarono istanza per avere Sant’Antonio Abate come protettore principale. Del resto, basta dare una occhiata alle foto dei documenti da me trascritti ed inseriti nella mia pubblicazione per capire che la loro traslitterazione non poteva essere effettuata “scartabellando”, ma richiedeva un paziente lavoro di attenta lettura ed interpretazione dei testi scritti quasi tutti in latino. Aggiungo anche che, a volte, la decifrazione di qualche termine ha richiesto da parte mia l’ausilio degli amici ricercatori Antonio e Giacomo, presenti in archivio, che ringrazio per l’aiuto prestatomi.
Il Mazzotta, poi, dice il falso quando afferma che io avrei “scartabellato le carte comunali”. Evidentemente o non ha letto bene il mio libro (l’avrà scartabellato!), o è stato da qualcuno informato male perché a tutt’oggi i documenti dell’archivio storico del Comune di Novoli non possono essere consultati. Sto aspettando dal 2007, dall’epoca del mio primo libro I “talebani” tra di noi, che detto archivio possa essere aperto al pubblico. Al Comune di Novoli nell’autunno del 2007 presentai istanza per avere copia di alcuni documenti concernenti il trasferimento del falò da Piazza Gaetano Brunetti (attuale Totò Vetrugno) a Piazza Tito Schipa. Non ho mai messo mano a qualsivoglia documento custodito presso il Comune di Novoli.
Per la stesura del mio libro, oltre le visite pastorali, ho consultati altri fondi dell’Archivio della Curia Arcivescovile di Lecce, come, tanto per fare un esempio, il fondo “Assensi” (vedi sopra); mi sono avvalso, altresì, dei testi delle varie biblioteche dell’Università del Salento, delle Biblioteche Provinciali di Lecce e di Brindisi, della Biblioteca “Caracciolo” di Lecce, nonché dell’Archivio di Stato di Lecce. Basta leggere le note e la bibliografia per provare questo; ma, forse, il Mazzotta anche qui avrà scartabellato. Se avesse letto con la dovuta attenzione il mio libro sulla fòcara di Novoli, si sarebbe accorto che quanto da lui riportato alle pp. 27-28 del suo Novoli. Ritorno alle radici è stato da me corretto perché:
1) tra gli eletti di reggimento non compaiono i nomi di Giovanni di Belesario De Luca, mastro Francesco Antonio Mazzotta, Antonio Ruggio, Antonio Bacca;
2) tra gli aggionti di reggimento non compaiono i nomi delle seguenti casate: De Rinaldo, Ricciato, Farà, Russo, Simmini, Morenali;
3) tra i sacerdoti che firmarono la richiesta al vescovo Luigi Pappacoda per avere S. Antonio come protettore dell’Università di Sancta Maria de Novis c’era anche Don Francesco Ricciato, che il Mazzotta ha omesso al pari di Pietro De Leo nel suo lavoro già citato del 1971. Commettendo questo errore, il Mazzotta dimostra di non aver visto gli originali, ma che si è fidato del De Leo.
Poiché ha scartabellato il mio libro, Oronzo Mazzotta non ha visto, o non ha voluto vedere, quanto da me riportato a p. 97 della mia opera sulla fòcara, laddove riporto tre documenti, due del vescovo Scipione Sersale (Santa Visita del 1746), uno del vescovo Salvatore Spinelli (Santa Visita del 1792), che in maniera inoppugnabile attestano che nel 1703 il vescovo Fabrizio Pignatelli effettuò una visita reale, oltre quella personale ai sacerdoti, alle chiese di Novoli. Il fatto che non esista nell’archivio della Curia leccese relazione scritta relativa alla visita locale e reale effettuata in Novoli dal vescovo Fabrizio Pignatelli, indusse Oronzo Mazzotta a scrivere a pag. 31 de “Le Fasciddre te la Fòcara” del 17 gennaio 2009 che il vescovo di Lecce quella visita “non si era sognato di fare”. Ulteriore prova quest’ultima di come il Mazzotta abbia scartabellato i fogli delle Sante Visite pastorali, cosicché non c’è da aver fiducia nelle sue opere relative alla storia di Novoli, che necessita di una nuova e particolareggiata scrittura dalle lontane origini ai tempi nostri.
A p. 34 delle succitate “Fasciddre te la Fòcara”, venendo al clou del suo articolo, il Mazzotta afferma:
“Fantasia?...No, deduzione. In prima battuta, nelle visite pastorali non se ne parla perché la materia non è di competenza della Curia. In seconda battuta, avendo letto su History Channel che nel meridione anche le popolazioni pre-romane usavano festeggiare con la fòcara, nulla vieta di pensare che, se non prima ma almeno nell’an- no della proclamazione, i Novolesi avessero continuato la tradizione”.
In prima battuta, tengo a precisare che non è vero che nelle visite pastorali non si parli del falò novolese, perché, per esempio, ne parla Don Francesco Pellegrino, Padre spirituale della Chiesa dell’Immacolata, il quale a pag. 17 del “Questionario” relativo alla predetta chiesa per la visita pastorale effettuata nel 1953 dal vescovo Mons. Francesco Minerva, affermava che presso la Chiesa dell’Immacolata nella domenica infra octavam si teneva la festa volgarmente detta “te Sant’An- tunieddru” con accensione la sera di una piccola fòcara (Cfr. ACAL, Sante Visite, busta 49, fasc. 419, p. 17). Questa notizia è stata da me riportata nella nota n. 69 del mio libro sulla fòcara di S. Antonio, che, evidentemente, il Mazzotta, avvezzo a scartabellare, non ha visto, perché, se l’avesse letta, non avrebbe scritto quanto indicato nella sua “prima battuta”.
La sua “seconda battuta” è, poi, una perla di come non si deve effettuare una ricerca storica. Cita come fonte un non meglio identificato “History Channel”, senza indicazione di data, di documentario, di autore. Se uno volesse controllare, non è messo nella possibilità di farlo. Tanto per intenderci, caro lettore, è come se uno dicesse: “Ho visto su RAI Storia che…”, senza indicare il giorno, l’ora, l’argomento della puntata televisiva. Per usare una espressione cara al prete novolese O. Mazzotta, quando la citazione manca o non è affatto completa, “è come scrivere sull’acqua” (O. MAZZOTTA, Tamburriata semiseria tra pozzi e talebani, in “Le Fasciddre te la Fòcara”, anno 47, numero unico, 17 gennaio 2009, Novoli, p. 31). Il lettore, poi, non capisce se si tratta di un canale televisivo straniero o italiano. Ho effettuato una ricerca nel web ed ho trovato che esiste un canale televisivo internazionale di origine U.S.A., denominato History, precedentemente noto come The History Channel, che trasmette via satellite e via cavo una programmazione a contenuto storico prettamente informativo di base. Lanciato negli Stati Uniti nel 1955, History è stato poi localizzato con versioni in varie lingue di diversi Paesi. In Italia c’è il canale 407 di Sky. Se sia questo canale, avrebbe dovuto dircelo il Mazzotta, il quale, nel suo vano tentativo di arrampicarsi sugli specchi, come prova che non fanta- stica, ma che deduce, c’informa che addirittura le popolazioni, non soltanto salentine, ma meridionali in genere, prima della conquista romana, erano solite festeggiare accendendo fòcare. Quella del Mazzotta non è una deduzione storica attendibile, perché difetta di logica. Seguendo il suo modo di pensare, potremmo affermare che tutti i falò di tutti i popoli del sud Italia, tanto prima quanto dopo l’epoca del Pappacoda, potrebbero farsi risalire all’epoca delle popolazioni pre-romane. Per quanto concerne il caso concreto dalla fòcara di Novoli, affermare questo è pura fantasia. La Storia è tutt’altra cosa. Essa si fonda su documenti certi ed inoppugnabili, non certamente su arbitrarie deduzioni che non stanno né in cielo né in terra, come quella prospettata dal Mazzotta. Certamente, “nulla” e nessuno, aggiungo io, può impedire al nostro pensiero di andare dove vuole, ma la ricerca scientifica storica c’impone di mettere un freno alla nostra immaginazione prima di addurre qualsiasi inferenza, che deve poggiare su solide basi documentarie. Comunque, lascio ogni giudizio al lettore, perché da parte mia ogni ulteriore commento è inutile. Pertanto, ribadisco che attualmente, allo stato della ricerca storica, sappiamo soltanto che il falò dalla fine dell’Ottocento sino all’anno 1949 fu eretto nel piazzale antistante la chiesa di Sant’Antonio Abate. Dal 1950 al 1996 ebbe come sede piazza Gaetano Brunetti (attuale denominazione Totò Vetrugno), da dove fu spostato in piazza Tito Schipa nel 1997, anno in cui ad amministrare il paese c’era il Commissario prefettizio dott. Nicola Prete, il quale accolse una petizione firmata da un centinaio di cittadini novolesi e rigettò la proposta dell’allora Comitato Festa che aveva indicato il piazzale della Stazione ferroviaria come sito per il falò.
Voglio chiudere questo modesto mio contributo sulla fòcara di Novoli con un affettuoso ricordo di Giuseppe Rizzo. In cima al falò, fino a qualche anno fa, si issava la bandiera italiana tutta adorna di spighe di grano intrecciate. Per tanti anni ho assistito personalmente al certosino lavoro di Giuseppe Rizzo (1907-1974) bravissimo nell’intrecciare nei mesi estivi le spighe intorno alla bandiera “cusuta” (“cucita”) dalla figlia Maria. Il Rizzo era nato a Novoli il 6 gennaio 1907 da Antonio e Luisa Casilli. A 26 anni, il 26/02/1933, sposò De Luca Maria Iolanda Carmela, dalla quale ebbe cinque figli. La famiglia Rizzo abitava in Via Milano 12, di fronte la casa dei miei genitori. Il figlio Antonio, mio coetaneo, era molto orgoglioso del padre, un modesto contadino, ma per il suo unico figlio maschio un vero artista nell’arte dell’intreccio delle spighe di grano. Ogni anno, quando eravamo bambini, Antonio invitava a casa sua tutti i suoi compagni di gioco perché vedessero la maestria del padre intento a preparare l’addobbo della bandiera. In quel grano issato sulla cima della fòcara è da ricercare, la natura vera della forma conica, a pignune, del falò novolese. Il grano o la marangia erano il dono che il povero popolo novolese offriva a S. Antonio Abate per averne la protezione nei confronti delle avversità naturali, simboleggiate dal fuoco.
Salvatore Epifani
Inno alla Fòcara
di Salvatore Epifani
(adattamento con integrazioni e modifiche del testo “Sant’Antoni te lu fuecu” di LIVIO DE FILIPPI, in IDEM, “Lecce Folk”, Unione Tipografica Lecce, 1979, pp. 55-56)
Ca ci nu nci chioe la nie nu manca (2 volte)
te Sant’Antoni cu lla barba ianca. (2 volte)
Rit: Ahi, ahi, ahi, lu core miu
Miu , miu, miu, lu Sant’Ntoni miu.
Nella, Nella, Nella, Ninà.
Beddra la fòcara e ci la sape fa’. (3° e 4° verso ripetuti 2 volte)
Cu lla capu ’ncafata ’ntra llu cueddru
passa la gente cu llu nasu russu.
Cu se scarfa se fricula le mane
e lu fiatu se face te vapore.
La gente fuce ’nvece cu camina,
eppuru nu la secuta nisciunu.
Ma, datu ca sta mina tramuntana,
tocca pe’ forza cu camini lestu.
Ma pe’ fortuna ete Sant’Antoni,
lu santu te lu puercu e te lu fuecu.
E ’ntra sta chiazza beddra priparata
sta bbarde la fòcara ’mpizzicata.
E a nna bancarella’nturnu a ’nturnu
te puei mangiare lu puercu a llu furnu,
nna fettina rrustuta, cauta cauta,
nnu bicchieri te mieru te l’annata.
La tramuntana te l’ha già scirrata
e la rriscilatura se nn’a sciuta.
Ca te nanni e nannasceni a memoria
se sape ca ogni santu spiccia an gloria.
Te Sant’Antoni ’nnanti maschere e canti
pe’ la felicità te tutti quanti.