Del successo della pizzica pizzica

04.02.2014 08:33

La pizzica-pizzica1, la tarantella2 “profana” derivata secondo Diego Carpitella dalla tarantella “liturgica” detta pizzica tarantata3, è da oltre un ventennio al centro dell’attenzione degli studiosi oltre che di un pubblico, soprattutto giovanile, che con la presenza di migliaia di persone, provenienti da ogni parte d’Italia, anima le piazze del Salento in occasione di eventi musicali estivi come, tanto per citare gli esempi più suggestivi, “La notte della taranta” di Melpignano o “La festa di S. Rocco” di Torrepaduli.

     In questo mio intervento, non potendo, per motivi di spazio, dar conto della copiosa bibliografia, legata, però, soprattutto al tarantismo di cui la pizzica-pizzica era una delle musiche che accompagnavano il rito terapeutico domiciliare, vorrei fare alcune osservazioni su come oggi si balla la pizzica, ed, inoltre, cercare di dare una mia risposta al perché tante persone, non necessariamente giovanissimi, danzano al ritmo della “piccola taranta” per parafrasare il titolo dell’opera di G. Di Lecce4. E’ dall’estate del 1998, da quando, cioè, pure io sono stato “pizzicato”dalla bellezza, non soltanto estetica, ma anche intellettuale della nostra tarantella, che vado conducendo una ricerca, come si suole dire, sul campo che ha come teatro praticamente tutti i comuni della provincia di Lecce con escursioni in qualche paese della provincia di Brindisi (Ostuni, Mesagne, San Vito dei Normanni, San Pietro Vernotico, San Pancrazio). La ricerca è ancora in corso. “Perché?” - potrebbe obiettare il lettore –“Quindici anni non sono sufficienti?” Purtroppo, caro lettore, per me non sono stati bastevoli. Perché io vado alla ricerca degli anziani danzatori di pizzica; filologicamente parlando, vado alla ricerca delle fonti. I giovani di oggi non sono attendibili perché non ballano “la” pizzica, ma “tante” pizziche diverse che di tradizionale non hanno niente essendo il frutto di vera e propria arbitraria invenzione5. D’altra parte, non è facile imbattersi durante la varie feste, sagre paesane, in anziani che partecipano in modo attivo, cioè ballando, ai concerti dei tanti6 gruppi che ripropongono i canti e la musica della tradizione salentina. I motivi sono evidenti. C’è, ovviamente, l’impaccio dell’età; ma, soprattutto, non si riconoscono in quella sorta di “discoteca all’aperto” che diventano le nostre piazze, durante i concerti di pizzica, persone che al tempo della loro gioventù danzavano in casa, d’inverno, o sulle terrazze, sulle aie e in corti, durante la bella stagione, con familiari, parenti, amici, vicini di casa, potremmo dire “in privato”, per festeggiare con sincera allegria un matrimonio, un battesimo, la fine della raccolta del grano o dell’uva, o più spesso semplicemente per riposarsi dopo una lunga giornata di lavoro. C’era, soprattutto, partecipazione corale al ballo, che, come ci riferiscono le fonti letterarie7, avveniva con una coppia (di norma uomo-donna, ma poteva succedere che danzassero anche due donne o due uomini) per volta al centro della ronda o rota. I ballerini di turno, nel tempo loro concesso, si sentivano protagonisti, primi attori, perché erano sotto l’osservazione attenta della gaia compagnia, della quale facevano parte anche i bambini che, per emulazione, apprendevano la pizzica dai danzatori più valenti.

     Oggi, i giovani, anche se a coppie (ma ho osservato persone ballare da sole), si agitano tutti insieme in un caos tremendo di gambe e corpi che in continuazione si urtano, si spingono, si pestano. In qualche coppia si può intravedere, nel marasma generale, qualche passo corretto di pizzica, ma è completamente assente la coreografia. Più che ballare si fa esercizio motorio che, certamente, può far bene al fisico, ma non ha niente a che fare con la pizzica, una danza “[...] tra le più gentili che abbia mai Tersicore rivelata a’ suoi diletti adoratori”8. Ma perché, pur con questi limiti, i giovani si sentono attratti dalla pizzica? Che cosa li spinge ad apprendere a suonare il tamburello, che è lo strumento anima della nostra musica”? Quali emozioni, quali sensazioni evoca in loro il ballare la pizzica? A questi interrogativi vari studiosi hanno cercato di dare una risposta. Eugenio Imbriani, nell’articolo dal titolo “Pizzica, le ragioni di un fenomeno”, comparso alla pagina 19 del Nuovo Quotidiano di Puglia del 31 agosto 2002, più che ai giovani, i veri protagonisti del “movimento”, per il quale Anna Nacci ha coniato il  termine di “neotarantismo”9, guarda agli operatori culturali (come il regista Edoardo Winspeare, autore di “Pizzicata” e “Sangue vivo”, e Sergio Blasi, ex sindaco di Melpignano dove si tiene il concerto finale de “La notte della taranta”), i quali, secondo lui, avrebbero centrato pienamente l’obiettivo della loro politica culturale supportata dal “pensiero meridiano” di Franco Cassano. Francamente non condivido questa posizione per il semplice fatto che si dovrebbe ugualmente rispondere ai quesiti: perché i films di Winspeare o “La notte della taranta” hanno riscosso e continuano a riscuotere successo anche con lusinghieri riconoscimenti all’estero? Perché, soprattutto, anche se in forme non ortodosse rispetto ai canoni stilistici tradizionali, da parte di tanti si danza, si va alla ricerca della pizzica? Che cosa spinge Francesca di Bologna, Emanuela di Pisa, Michela di Siena, Mario di Milano10 a venire,qui, nel Salento, per ballare la pizzica, per suonare il tamburello, per cantare, forse anche meglio di tanti salentini, i canti in grico? Perché spontaneamente sono sorte nei nostri paesi tante scuole di pizzica? Perché in tanti istituti (dalle scuole materne alle superiori) del Salento, ma anche di altre regioni d’Italia, s’insegna la pizzica e la tecnica salentina di “tuzzare” il tamburello? In base alla mia esperienza, mi sento di dire che il fenomeno pizzica non è una questione di politica culturale, di costruzione dall’alto del gusto estetico da parte della nostrana intellighenzia. Bisogna tenere presente che il nostro folk revival degli anni ’70 del secolo scorso non ebbe il successo dell’attuale riproposizione della musica tradizionale proprio perché quel movimento era fortemente ideologizzato a sinistra. Oggi la pizzica non si balla soltanto, come avveniva allora, nelle feste dell’Unità, ma in tutte le feste, siano esse laiche, come le tante sagre, o religiose. E, quello che più conta, danzano tutti, di qualsiasi fede politica.

     L’”affaire” è molto più semplice. La pizzica col suo ritmo ossessivo, ripetitivo sprigiona una grande energia, quella che Eugenio Bennato chiama “taranta power”11, che affascina la gente tutta, dai bambini agli anziani. Bisogna dire, infatti, che ai concerti di pizzica non vanno soltanto i giovani, ma intere famiglie, anche col passeggino, se ci sono neonati. Mi piace qui descrivere seppur brevemente quello che spontaneamente succede durante una festa allorché si esibiscono sul palco prima un gruppo musicale di liscio e poi un gruppo di pizzica. Mentre suona il gruppo di liscio, la folla sta a debita distanza dal palco, tanto che i ballerini (tanti) possono tranquillamente esibirsi senza correre il rischio di essere ostacolati nella loro performance. Invece, appena suona il gruppo di pizzica, la gente (anche le mamme col passeggino) si accalca vicino al palco in maniera così pressante da non lasciar lo spazio sufficiente al formarsi della ronda. Tutti fanno a gara, anche chi non sa ballare (“ma se viti ca se cotula lu pete/ quiddhu è llu segnu ca vole ballare”)12, per chi deve stare in prima fila, perché c’è voglia di partecipare comunque o battendo le mani al ritmo della musica o muovendosi sul posto. In genere ad aprire le danze, poi, sono i bambini, seguiti, dopo l’esecuzione di qualche canzone, dai più grandi.

     Quanto sopra descritto ci serve anche per dire che si balla la pizzica per “puro” divertimento, non certo, come è stato ipotizzato, per andare alla ricerca di stati modificati di coscienza13. Ma quale trance dovrebbero ricercare tanti allegri bimbi che sono un amore a vederli sgambettare felici come una pasqua appena sentono vibrare i sonagli dei tamburi a cornice? Lo stesso dicasi per tante mamme e tanti papà che si divertono “sanamente” insieme ai loro figli.

     Oggi, grazie anche alla rivalutazione del dialetto, ci stiamo riappropriando della nostra cultura che, a partire dai “mitici” anni sessanta, complice la TV, ci era stata espropriata. Ma questo è un discorso che potrebbe risultare troppo lungo, e che preferisco per il momento accantonare.

Note

1. Il termine pizzica-pizzica compare per la prima volta nel 1779 nella “Lettera sul tarantismo” dell’ing. Andrea Pigonati (vedi il prossimo capitolo, intitolato A proposito di pizzica pizzica: La “Lettera sul tarantismo” dell’ing. Andrea Pigonati). Successivamente lo ritroviamo: nel Diario segreto di Ferdinando IV (1797); in G. B. GAGLIARDO, Descrizione topografica di Taranto (1811); nell’opera di G. CEVA GRIMALDI, Itinerario da Napoli a Lecce e nella provincia di Terra d’Otranto nell’anno 1818, pubblicata nel 1821. È in quest’ultimo testo che troviamo alle pp. 209-210 la più antica descrizione della pizzica-pizzica, che ho riportato nell’Appendice documentaria alla fine di questo capitolo. Sul significato etimologico del termine pizzica sono state formulate varie ipotesi (Cfr. L. TARANTINO, La notte dei tamburi e dei coltelli, Nardò, 2001, pp. 9-10) attinenti al modo di suonare gli strumenti (chitarra, castagnole, tamburello, schiocco delle dita) oppure, cosa più plausibile, al “pizzico”, cioè al morso della mitica taranta. Per Pier Paolo De Giorgi, più che dal verbo pizzicare, il termine pizzica deriverebbe dal vocabolo greco “Puticos”, al femminile “Putiché” cioè “pitica” o “pizica”, aggettivo relativo alla Pizia (P. DE GIORGI, Tarantismo e rinascita, Lecce, 1999, p. 202).

2. Ancora oggi gli anziani sono soliti chiamare indifferentemente pizzica pizzica o tarantella il canto, la musica e la danza salentina di divertimento. Cito due esempi di due aree diverse del Salento, Novoli e Calimera: “Splendidi i miei anni giovanili […] d’estate […] ci si riuniva nei cortili e lungo i marciapiedi, e si raccontavano storie, si suonava la chitarra, si ballava la tarantella” (Noemi Caione di anni 86 in “Quaderni Novolesi”, vol. II, a cura degli alunni del corso A e della I C coordinati dai professori Gigi Milli e Vito Pellegrino, Novoli, 1994, p. 8); “O cognomamu ene Surdo Cosimo, jenniméno e’ Mmartàna sta chijanneacòscia-decapénte, ce steo es ti’ Ccaliméra […]. Ma ‘i’ tarantella e’ ttin ìme mai lipolimména ce ‘i’ ccantalò panta, ahii!” (Traduzione: “Il mio cognome è Surdo Cosimo, nato a Martano nel 1915 e vivo a Calimera da 42 anni […]. Ma la  tarantella non l’ho dimenticata, e la canto sempre, ahii!”. C. SURDO, Pizzica di Cosimino, in “Canto d’amore”, CD delle edizioni Aramirè, Lecce, 2000).

3. D. CARPITELLA, “L’esorcismo coreutico-musicale del tarantismo”, Appendice III a E. De MARTINO, La terra del rimorso, Milano, edizione del 1994, p. 336; ma, già nel 1876 L. G. De Simone aveva prospettato che i modi incomposti della “Tanza de quiddhu ci la Taranta pizzica” [“danza di colui che è morsicato dalla Tarantola”] sottoposti a qualche regola coreografica avessero generato la “Pizzica-Pizzica (L. G. DE SIMONE, La vita in terra d’Otranto, Lecce, edizione del 1996 curata da Eugenio Imbriani, p. 112). Per questa connessione col tarantismo Roberto Leydi considera la pizzica-pizzica una delle più arcaiche musiche italiane (Cfr. R. LEYDI, I canti popolari italiani, Milano, 1973, p. 151).

4. G. DI LECCE, La danza della piccola taranta, Roma, 1994.

5. Molto utile al riguardo la lettura del saggio di G. M. GALA, La pizzica ce l’ho nel sangue, in “Il ritmo meridiano”, a cura di Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, Lecce, 2002, pp. 132-142, in cui l’autore con garbata ironia parla di “mimo pizzica, cardiopizzica, slow pizzica, trance pizzica, energico pizzica”.

6. Nel dossier La pizzica ai tempi di internet pubblicato in “Almanacco Salentino”, anno XIII, gennaio 2002, a cura di R. Guido e M. Tarricone, è riportata la “carta d’identità” di ben  37 gruppi, anche se non figurano i seguenti: Melos, Eteria, Aioresis, Rastataranta, Aria frisca, Pizzicati, Zimbaria, Asfodeli, Sciacuddhi, Caggè, Terra tumara, Original Salento Tarante, Latrodectus, Fore miu, Santu Pietru cu tutte le chiai, Taricata, Li calanti, Oidè, Terra cupa, Le fije te lu re.

7. Cfr: G. CEVA GRIMALDI, op. cit., pp. 209-210 ripreso, tra gli altri, da L. G. DE SIMONE, op. cit., p. 113; R. KEPPEL CRAVEN, A tour through the southern provinces of the Kingdom of Naples, London, 1821, pp. 187-188; J. ROSS, Italian Sketches, London, 1887, pp. 261-262; EADEM, The land of Manfred, London, 1889, pp. 153-154, 182-183; S. LA SORSA, Usi, costumi e feste del popolo pugliese, Bari, 1925, p. 125; G. D’ARONCO, Storia della danza popolare e d’arte, Firenze, 1962, p. 291. Per i testi vai all’Appendice documentaria alla fine di questo capitolo.

8. G. CEVA GRIMALDI, op. cit., p. 209.

9. AA. VV., Tarantismo e Neotarantismo, a cura di Anna Nacci, Nardò, 2001, p. 13.

10. Per ovvi motivi di tutela della riservatezza personale non posso dire i cognomi.

11. E. BENNATO, Musicanova, CD, brano n. 1 “Taranta power”.

12. E’ un notissimo distico della tradizione salentina.

13. Cfr. almeno: G. LAPASSADE, Saggio sulla trance, Milano, 1998; IDEM, Dal candomblè al tarantismo, Roma, 2000; IDEM, Nel cuore di nuove identità che hanno radici antiche, in “Almanacco Salentino”, op. cit., pp. 161-165; V. AMPOLO – G. ZAPPATORE, Musica, droga e trance, Roma, 1999; AA. VV., Tarantismo e Neotarantismo, op. cit.; G. ROUGET, Musica e trance, Torino, 1986.

Salvatore Epifani

Contatti

Salvatore Epifani Via Tommaso Fiore, n. 5
73051 Novoli (Lecce)
3295889489 epifani.s@libero.it