Come si ballava la pizzica pizzica

04.02.2014 14:36

          Foto dell'archivio di Vincenzo Marasco.

Nel 1818 effettuarono un viaggio in Terra d’Otranto Giuseppe Ceva Grimaldi (1777-1862), marchese di Pietracatella, inviato a Lecce in qualità di Intendente, e Sir Richard Keppel Craven (1779-1851), viaggiatore inglese amante della regione Puglia, dove ritornò vent’anni dopo, nel 1838. Di questi due autori, così diversi per indole ed interessi, riporto due brani delle loro opere, entrambe pubblicate nel 1821, che ebbero un certo successo, come vedremo, tra coloro che vennero in Puglia come turisti o che s’interessarono della Terra d’Otranto come storici o folkloristi.

     G. CEVA. GRIMALDI, Itinerario da Napoli a Lecce e nella provincia di Terra d’Otranto nell’anno 1818, Napoli, 1821, dove alle pp. 209-210 troviamo la più antica descrizione della pizzica pizzica.

“[…] diremo esser le danze frequenti e lietissime in tutta la Terra d’Otranto. Le donne ballano con cara leggiadria, gli uomini con qualche affettazione; la pizzica, che può dirsi la danza nazionale, è tra le più gentili che abbia mai Tersicore rivelata a’ suoi diletti adoratori: ci piace darne la descrizione. Una donna incomincia a caracolar sola, dopo pochi istanti ella gitta un fazzoletto a colui che il capriccio le indica, e lo invita a danzar seco. Lo stesso capriccio le fa licenziar questo e chiamarne un altro e poi un altro, finché stanca va a riposarsi. Allora rimane al suo ultimo compagno il diritto d’invitare altre donne: il ballo continua in tal modo sempre più variato e piacevole. Guai al male accorto che la curiosità conduce al tiro del fazzoletto fatale: né la sua inesperienza né la grave età gli può servire di scusa; un dovere di consuetudine l’obbliga a non ricusare l’invito che riceve. La gioia de’ circostanti è accresciuta da questo ridicolo spettacolo, e le maliziose danzatrici ridono del magico potere che la bellezza esercita nel mondo”.

     Il passo sopra riportato ebbe molta fortuna per tutto il 1800. Fu riportato pari pari da CRAUFURD TAIT RAMAGE (1803-1878) in The Nooks and Byways of Italy, Wanderings in Search of its Ancient Remains and Modern Superstitions, Liverpool, 1868, nel quale descrive il suo viaggio nel Sud d’Italia effettuato nel 1828. Il Ramage alla p. 173 descrive in italiano, e poi traduce in inglese, la pizzica, ma non è credibile quando asserisce che è stato informato da una donna del luogo perché ripropone quanto già era stato pubblicato da G. Ceva Grimaldi. Ecco il passo:

“My fair hostess wrote out with her own hand the manner in which the Pizzica, a dance peculiar to the Tarantines, was conducted, and I do not doubt that she could have shown it still more clearly, and with better effect, on the floor of the ball-room. I give you her own words, and you will see that it is not unlike an old rather vulgar Scotch dance, called the Pillow, which has been banished since quadrilles became fashionable, but which may still be seen at country kirns: Una donna comincia a carolar sola, dopo pochi istanti ella jetta un fazzoletto a colui che il capriccio le indica, e lo invita a danzar seco. Lo stesso capriccio le fa licenziar questo e chiamare un altro e poi un altro, finché stanca va a riposare. Allora rimane al suo ultimo compagno il diritto d’invitare altre donne. Il ballo continua in tal modo sempre più variato e piacevole. Guai al male accorto che la curiosità conduce al tiro del fazzoletto, poiché né la sua inesperienza né la grave età è una scusa; un dovere di consuetudine l’obbliga a non ricusare l’invito che riceve. ‘A lady begins a country dance alone; after a few moments she throws a handkerchief to someone whom she fancies, and invites him to dance with her. The same caprice dismisses him and invites another, and then another, till wearied she goes to rest herself. Then her last partner has the privilege of inviting other ladies. The dance continues in this way always more varied and delightful. Woe to the imprudent on-looker whom curiosity leads to watch the throwing of the handkerchief, since neither his ignorance of the mazy dance nor gravity of years is any excuse; custom obliges him not to refuse the invitation which he receives’. This is the Pizzica of the Tarantines, and you can easily believe that it may be made a source of great amusement. Everywhere I find the people thinking of little else than the enjoyment of the passing hour. They seen thoroughly to have imbibed the Epicurean doctrine of Horace’s (Od. I, II, 3)

…Sapias; vina liquies et spatis brevi

Spem longam reseces. Dum loquimur fugerit invida

aetas. Carpe diem, quam minima credula postero

Traduzione: “La mia cortese ospite ha trascritto per esteso di suo pugno il modo in cui la Pizzica, una danza caratteristica dei Tarantini, era condotta, ed io non dubito che avrebbe potuto darne una dimostrazione ancor più chiaramente, e con buoni risultati, sul pavimento di una sala da ballo. Ve la offro con le sue proprie parole, e vedrete che non è diversa da una vecchia danza scozzese un po’ volgare, detta Cuscino, che non è stata bandita da quando è diventata di moda la quadriglia, ma che si può ancora vedere in qualche ballo campestre: Una donna comincia a carolar sola, dopo pochi istanti ella jetta un fazzoletto a colui che il capriccio le indica, e lo invita a danzar seco. Lo stesso capriccio le fa licenziar questo e chiamare un altro e poi un altro, finché stanca va a riposare. Allora rimane al suo ultimo compagno il diritto d’invitare altre donne. Il ballo continua in tal modo sempre più variato e piacevole. Guai al male accorto che la curiosità conduce al tiro del fazzoletto, poiché né la sua inesperienza né la grave età è una scusa; un dovere di consuetudine l’obbliga a non ricusare l’invito che riceve. Questa è la Pizzica dei Tarantini e potete facilmente credere che può essere l’origine di un gran divertimento. Ovunque incontro gente che non pensa ad altro che al divertimento dell’ora fuggevole. Sembra che siano totalmente imbevuti della dottrina epicurea di Orazio (Od. I, 11, 3)

     Sii saggia, mesci il vino e, poiché la vita è breve, rinuncia a speranze lontane. Mentre parliamo, il tempo invidioso sarà già fuggito: cogli l’attimo fiduciosa il meno possibile nel domani”.

     Negli anni in cui il Ramage pubblicava il suo diario di viaggio nel Sud Italia, il giudice Luigi G. De Simone iniziava a scrivere e pubblicare la sua La vita della Terra d’Otranto, dapprima nel settimanale “Il Cittadino Leccese” (1867), poi in quattro parti nella “Rivista Europea” (Firenze, 1876). Le citazioni che seguiranno sono state tratte dall’edizione leccese del 1996, con Premessa di Michele Paone ed Introduzione di Eugenio Imbriani. Il De Simone, nel capitolo intitolato Il Ballo, ci fornisce notizie utilissime sul tamburello (p. 103); sul tarantismo a Novoli (LE), dove “costumano vestir le mura della stanza del ballo con fazzoletti e nastri di vari colori” (p. 108); di Novoli, dice inoltre, è uno dei “più celebri musicisti de la taranta ne’ nostri contorni” (p. 110), il violinista cieco Francesco Mazzotta, “Ora (1892) è morto da parecchio, ma ne dura ‘gloriosa’ la fama” (p. 112); sulla pizzica pizzica sostiene che deriverebbe dalla Taranta, ossia dalla “Tanza de quiddru ci la Taranta pizzica (Danza di colui che è morsicato dalla Tarantola” (p. 112); infine, nel riferire come ai suoi tempi si ballava la pizzica pizzica, riporta anch’egli, come il Ramage, la descrizione di Giuseppe Ceva Grimaldi, che non viene nominato apertamente, in quanto ci dice:

“Diremo (scriveva un coltissimo gentiluomo napoletano) esser le danze frequenti e lietissime in tutta la Terra d’Otranto. Le donne ballano con cara leggiadria, gli uomini senza affettazione: ma la Pizzica, che può dirsi danza salentina, è tra le più gentili che abbia mai Tersicore insegnata a’ suoi diletti adoratori: ci piace darne la descrizione. Una donna incomincia a carolar sola; dopo pochi istanti ella gitta un fazzoletto a colui che il capriccio le indica, e lo invita a danzar seco. Lo stesso capriccio le fa licenziar questo e chiamarne un altro, e poi un altro, finché stanca va a riposarsi. Allora rimane al suo ultimo compagno il diritto d’invitare altre donne, e il ballo continua in tal modo sempre più variato e piacevole. Guai al mal’accorto che la curiosità conduce al tiro del fazzoletto fatale: la sua inesperienza, la grave età non gli può servire di scusa; un dovere di consuetudine l’obbliga a non ricusare l’invito che riceve. La gioia dei circostanti è accresciuta da questo ridicolo spettacolo, e le maliziose danzatrici ridono del magico potere che la bellezza esercita nel mondo” (p. 113).

     Dopo l’integrale (tranne per i termini da me sottolineati che non compaiono nell’Itinerario dello statista napoletano e per lievi modifiche sintattiche e di punteggiatura) citazione della descrizione della pizzica pizzica tramandataci da Giuseppe Ceva Grimaldi, di suo il De Simone riferisce che:

“I danzanti la Pizzica non usano, comunemente, le nacchere o castagnette, le crusmata dei Greci e dei Romani”(p. 113).

     Troppo poco, invero, dobbiamo, per quanto concerne la descrizione del ballo della pizzica pizzica, all’erudito di Arnesano (LE), il quale, molto probabilmente, è stato costretto a rifugiarsi sotto le ali del Ministro napoletano perché non aveva de visu mai assistito, causa i suoi molteplici impegni, ad una performance di pizzica.

R. KEPPEL CRAVEN, A tour through the southern provinces of the Kingdom of Naples, London, 1821, p.-188. L’autore, dopo aver riferito nelle pagine precedenti alcuni particolari molto interessanti relative al tarantismo, come la circostanza che anche persone di rango elevato ed educazione superiore alla classe media erano affette da questa malattia, il cui peso in termini economici e dispendio di tempo era sulle spalle del marito della tarantata, ci dice di aver assistito di persona alla danza di una tarantata, che, vestita di bianco ed ornata con nastri colorati o foglie di vite, veniva condotta sul terrazzo avendo in mano una spada sguainata. Qui, la poveretta sedeva con la testa tra le mani, mentre i musicisti cominciavano ad eseguire diversi motivi. Ma, lascio la parola a R. Keppen Craven il quale testimonia che:

“The expenditure of money and time attending the ceremonies observed in the cure of a Tarantata, which attract the attention and form the diversion of a whole village, will account for the husband’s objections to the neighbours encouragement of them. These last, as wel as the friends and relations of the party, are always apprized in due time, and invited to assist, in their holiday-clothes at the singular rites which are to be performed. Musicians, expert in the art, are summoned, and the patient, attired in white, and gaudily adorned with various coloured ribands, vine leaves, and trinkets of all kinds, is let out, holding a drawn sword in her hand, on a terrace, in the midst of her sympathizing friends; she sits with her head reclining on her hand, while the musical performers try the different chords, keys, tones, and tunes that may arrest her wandering attention, or suit her taste or caprice. I heard some specimens of these preludes, which resemble unconnected pieces of recitative. The sufferer usually rises to some melancholy melody in a minor key, and slowly follows its movements by her steps; it is then that the musician has an opportunity of displaying his skill, by imperceptibly accelerating the time till it falls into the merry measure of the pizzica, which is, in fact, that of the Tarantellas or national dance, only that in the composition of the Tarantine air greater variety and a more polished and even scientific style is observable. She continues dancing to various successions of these tunes as long as her breath and strength allow, occasionally selecting one of te bystanders as her partner, and sprinkling her face with cold water, a large vessel of which is always placed near at hand. While she rests at times, the guests invited relieve her by dancing by turns after the fashion of the country; and when, overcome by resistless lassitude and faintness, she determines to give over for the day, she takes the pail or jar of water, and pours its contents entirely over her person, from her head downwards. This is the signal for her friends to undress and convey her to bed; after which the rest of the company endeavour to further her recovery by devouring a substantial repast, which is always prepared on the occasion”.

Traduzione: “Il dispendio di denaro e di tempo per preparare le cerimonie osservate nella cura di una Tarantata, che attraggono l’attenzione e costituiscono il passatempo dell’intero villaggio, danno sfogo alla disapprovazione del marito e all’incoraggiamento dei vicini di casa. Questi ultimi, come anche gli amici ed i parenti della coppia, sono sempre informati a tempo debito ed invitati ad assistere, con i vestiti della festa, ai singolari riti che devono essere eseguiti. Musicisti, esperti nell’arte, sono chiamati, e la paziente, vestita di bianco, sfarzosamente adornata di nastri variopinti, foglie di vite e ninnoli di ogni specie, è condotta su un terrazzo, tenendo una spada sguainata in mano, tra i suoi simpatizzanti amici; ella siede con il capo chino tra le mani, mentre i musicisti provano le corde, le chiavi, i toni e gli accordi che possano attrarre la sua errante attenzione. o per soddisfare il suo gusto o capriccio. Io ho ascoltato alcune prove di questi preludi che somigliano a brani staccati di recitativo. La sofferente solitamente si alza ad alcune melodie melanconiche in chiave minore, e lentamente le va dietro con i suoi movimenti; è allora che il musicista ha l’opportunità di sfoggiare la sua abilità, accelerando impercettibilmente il tempo finché non arriva all’allegro ritmo della pizzica, che è, infatti, quello della Tarantella o danza nazionale, solo che nella composizione del motivo Tarantino è osservabile una maggiore varietà ed uno stile più elegante ed anche più tecnico. Lei continua a ballare varie successioni di questi motivi finché glielo consentono il fiato e la forza, occasionalmente scegliendo come suo partner uno degli astanti, spruzzandosi il viso con acqua fredda, di cui un grande recipiente è sempre a portata di mano. Mentre talvolta si riposa, gli invitati l’aiutano ballando a turno secondo l’usanza campagnola; e quando, del tutto spossata e sfinita, decide di terminare la giornata, prende un secchio o una brocca d’acqua, e rovescia interamente il contenuto sulla sua persona, dalla testa ai piedi. Questo per i suoi amici è il segnale di svestirla e metterla a letto; poi il resto della compagnia s’adopera per la sua guarigione consumando un pasto sostanzioso, che è sempre preparato per l’occasione”.

     Il grande studioso del Rinascimento francese, l’archeologo Léon Palustre de Montifaut (1838-1894) ha senz’altro tenuto presente il passo su riportato del Keppen Craven allorché, trattando del tarantismo, nel suo De Paris à Sybaris. Etudes artistiques et littéraires sur Rome et l’Italie méridionale 1866-1867, Paris, 1868, afferma, alle pp. 359-360:

“La patiente d’abord, vêtue de blanc, couronnée de pampres et de rubans, une épée nue à la main, était conduite en cérémonie sur une terrasse par ses amis les plus chers; puis , la tête inclinée dans ses mains , elle demeurait quelque temps assise pendant que des musiciens choisis essayaient par leurs accords de répondre à ses caprices et à ses goûts. Comme subitement frappée par une mélodie inconnue, bientôt la malade se levait et peu à peu elle arrivait à conformer sa démarche aux sons des instruments. Les musiciens alors accéléraient imperceptiblement la mesure, et amenaient avec- habileté l'air de la Tarentelle, le signal de la danse et de la folle gaieté. Aussi longtemps que sa respiration et ses forces le lui permettaient , la souffrante suivait l'orchestre avec frénésie, ne quittant un danseur que pour en prendre un autre, et, afin d'augmenter ses forces , arrosant souvent son visage d'une eau glacée qu'elle puisait dans un vase placé à portée de sa main. Enfin, lorsque épuisée, elle voulait indiquer la remise de la fête au jour suivant, elle versait sur elle un seau d'eau tout entier, et s'inondait de la tête aux pieds. Incontinent alors ses compagnes s'empressaient de la déshabiller et de la déposer dans son lit. Pendant ce temps les autres invités s'efforçaient en dévorant un substantiel repas, tou jours préparé pour la circonstance, de contribuer pour leur part à sa guérison”.

Traduzione: “Dapprima la paziente, vestita di bianco, incoronata con pampini e nastrini, con una spada sguainata in mano, era condotta in cerimonia dai suoi amici più cari; dopo, con il capo chinato nelle mani, restava seduta per qualche tempo mentre dei musicisti scelti tentavano con i loro accordi ai suoi capricci e ai suoi gusti. Come colpita improvvisamente da una melodia sconosciuta, subito la malata si sollevava e a poco a poco arrivava a uniformare la sua andatura ai suoni degli strumenti. Allora i musicisti acceleravano in modo impercettibile il tempo, e conducevano con abilità il motivo della Tarantella, il ritmo della danza e della folle gioia. Così per tutto il tempo che il respiro e le forze glielo permettevano, la sofferente seguiva con frenesia l’orchestra, lasciando un ballerino per prenderne un altro, e, al fine di accrescere le sue forze, bagnava spesso il suo viso con acqua ghiacciata che prendeva da un vaso posto a portata di mano. Infine, allorché spossata, voleva segnalare di rinviare la festa al giorno seguente, si versava addosso un intero secchio d’acqua, e si bagnava dalla testa ai piedi. Subito allora le sue compagne si prodigavano a spogliarla e a metterla a letto. Durante questo tempo gli altri invitati si sforzavano di contribuire da parte loro alla sua guarigione divorando un pasto sostanzioso, sempre pronto per la circostanza”.

     Anche in F. LENORMANT, La Grande-Grèce. Paysages et histoire. Littoral de la Mer Ionienne, Tome Premier, Paris, 1881, viene ripreso il testo del Keppel Craven nelle seguenti pp. 112-113:

“La patiente, vêtue de blanc, couronnée de fleurs et de rubans, une épée nue à la main, était conduite dans un jardin ou sur une terrasse par ses parents et ses amis. […] Les musiciens alors accéléraient graduellement la mesure, de façon à amener habilement l'air de la Tarentelle, dont le rythme entraînant était considéré comme d'un effet souverain et qui y a dû son nom. Aussi longtemps que sa respiration et ses forces le lui permettaient, la Tarantolata suivait l'orchestre avec frénésie, ne quittant un danseur que pour en prendre un autre, et s'interrompant par intervalles pour baigner son visage dans l'eau froide. Enfin lorsque, épuisée, elle voulait indiquer la remise de la fête au lendemain, elle versait sur elle un seau d’eau tout entier et s’inondait de la tète aux pieds. Incontinent ses compagnes s'empressaient de la déshabiller et de la porter dans un lit, où elle tombait dans un sommeil de plomb.

(Per la traduzione cfr. il brano precedente)

     La londinese Janet Ann Ross (figlia di sir Alexander Cornewall Duff Gordon, nota col cognome del marito, Henry Ross, un facoltoso banchiere ed un grande viaggiatore che nel 1867 si stabilì a Firenze, dove la scrittrice morì il 23 agosto del 1927) in due sue opere ci parla e descrive il ballo della pizzica. Nella prima, intitolata Italian Sketches, pubblicata a Londra nel 1887, troviamo alle pp. 261-262:

“One evening Sir James Lacaita (who is as popular among the Apulia peasants as he is in London drawingrooms) invited the women and some bricklayers who are working here to come upstairs and dance the “Pizzica” and sing. I sat next to the Greek beauty, and never met a more modest, nice-mannered girl ; she talked more intelligible Italian than the others, and told me she was trying to earn money for her wedding. She danced beautifully, beginning with almost invisible steps, gliding over the floor, her apron coquettishly held in the forefinger and thumb of each hand : then suddenly she would raise one arm above her head, holding the other bent backwards on the hip, and, snapping her fingers, would hop around her dancer, seeming to flaunt at him, and to dare him to follow her. The man she danced with had a superb figure, and seemed to fly, with the backs of his open hands resting on his hips, his head well erect, and his eyes sparkling with excitement. As one dancer tired, another rose and rushed into the dance. […] Even the oldest woman occasionally got up and danced, and seemed to enjoy it as much as the girls.

Traduzione: “Una sera Sir James Lacaita (che è così popolare tra i contadini di Puglia come nei salotti di Londra) invitò le donne ed alcuni muratori che stavano lavorando qui a salire di sopra per ballare la ‘Pizzica’ e cantare. Io sedetti vicino alla bellezza greca, e mai ho incontrato una ragazza più modesta e dai modi gradevoli; parlava un italiano più intelligibile delle altre, e mi disse che stava tentando di guadagnare i soldi per le sue nozze. Ballava magnificamente, incominciando con passi quasi invisibili, scivolando sul pavimento, col grembiule tenuto graziosamente tra l’indice e il pollice di ciascuna mano; poi repentinamente alzava un braccio sulla testa tenendo l’altro piegato indietro sul fianco, e, facendo schioccare le dita, danzava attorno al suo ballerino sembrando di mettersi in mostra davanti a lui, e di sfidarlo ad andarle dietro. L’uomo col quale danzava aveva una magnifica figura, e pareva volare, col dorso delle mani aperte poste sui fianchi, il capo ben eretto, e gli occhi brillanti per l’eccitazione. Come un ballerino si stancava, un altro si alzava e si slanciava nel ballo. […] Perfino le donne più anziane occasionalmente si levavano e danzavano e sembrava che si divertissero come le ragazze”.

     Altra descrizione molto interessante della pizzica è quella che si trova in J. ROSS, The land of Manfred, London, 1889, pp. 153-154, dove l’autrice riferisce che in genere l’uomo ballava stando di lato alla donna e girandole intorno. La ballerina, tenendo con eleganza il grembiale tra il pollice e l’indice delle due mani, un po’ rimaneva quasi ferma come per ascoltare il canto che veniva eseguito dai suonatori, un po’ cercava di sfuggire al suo partner che l’incalzava, facendo girare un braccio sulla testa, mentre appuntava l’altro sul fianco a mo’ di sfida nei confronti del compagno che era invitato a seguirla. Allora entrambi incominciavano a correre, l’uomo con la testa rovesciata indietro, denotante focoso eccitamento, e gridando degli ah ah man mano che si avvicinava alla ragazza. Quindi, calmatisi, ricominciavano come all’inizio della danza ripetendo la coreografia che terminava con l’uomo che si metteva in ginocchio davanti alla fanciulla tra gli applausi degli astanti. Qualora il primo ballerino era stanco, veniva sostituito da un altro, e così accadeva anche per la ballerina.

“When I was at Leucaspide last year, Sir James Lacaita had invited the women and some bricklayers, who were working at a garden wall, to an evening party, and having a lively recollection of the wild dancing and the still wilder singing on that occasion, I begged our kind host to give another entertainment. The weather was beautiful, and the night warm, so we went out on to the ‘Loggia’ and there by the light of the full moon, a southern moon, the ‘Pizzica-Pizzica’ was danced with all the slancio [sic] and grace of these lithe graceful people. A whole love-story is told in pantomime : the man dances up to his partner and round her, while she, holding her apron coquettishly in the thumb and forefinger of each hand, seems half to listen, half to fly from him. Then of a sudden one arm is thrown above her head, while the other hand is placed defiantly on her hip, and, snapping her fingers, she darts away, challenging her dancer to follow. Down the long ‘Loggia’ they flew, the man's head thrown back, his eyes sparkling with excitement, while he shouted an occasional ‘ha-ha’ as he neared the girl. Then, retracing their steps, the courtship recommenced, and in one or two cases finished by the man sinking on one knee in front of his dansense, which caused great merriment and clapping of hands. As one dancer tired another rushed in and took his or her place, and even our host at length succumbed to the exciting music, arid showed that his long sojourn in England had not caused him to forget the intricate steps of the ‘Pizzica –Pizzica’, of which he told us, laughing and out of breath, he had once been a famous performer”.

Traduzione: “Quando l’anno scorso fui a Leucaspide, Sir James Lacaita aveva invitato le donne ed alcuni muratori che lavoravano al muro del giardino, ad una festa serale; avendo io conservato un vivo ricordo della danza sfrenata e dell’ancor più sfrenato cantare in quella circostanza, chiesi vivamente al nostro cortese ospite di dare un altro ricevimento. Il tempo era bello, e la notte calda, così andammo sulla ‘Loggia’ al chiaro di luna piena, una luna del Sud, e lì fu ballata la ‘Pizzica-Pizzica’ con tutto lo slancio e la grazia di queste agili garbate popolazioni. Un’intera storia d’amore è detta in pantomima: l’uomo danza di fianco alla sua compagna e le gira intorno, mentre lei, tenendo con civetteria il grembiale tra il pollice e l’indice di ciascuna mano, sembra che stia un po’ ad ascoltare, un po’ a fuggire da lui. Poi all’improvviso un braccio è alzato sulla testa, mentre l’altra mano è posta in modo provocatorio sul fianco, e, facendo schioccare le dita, sfreccia via sfidando il suo ballerino a seguirla. Per la lunga ‘Loggia’ correvano, la testa dell’uomo tirata indietro, i suoi occhi scintillanti per l’eccitazione, mentre gridava un occasionale ‘ha-ha’ appena si avvicinava alla ragazza. Poi, ritornando sui loro passi, il corteggiamento ricominciava, e in uno o due casi finiva con l’uomo caduto su un ginocchio davanti la sua ballerina, la qual cosa causava grande allegria e battiti di mani. Come un ballerino era stanco, un altro si slanciava e prendeva il suo posto [tanto dell’uomo quanto della donna], e persino il nostro ospite alla fine cedette alla musica eccitante, e dimostrò che il suo lungo soggiorno in Inghilterra non gli aveva causato di dimenticare i difficili passi della ‘Pizzica-Pizzica’, di cui ci diceva, ridendo e senza fiato, era stato una volta un eccellente esecutore”.

     Alle pp. 182-183 della medesima opera apprendiamo che la danza salentina era la preferita per le feste di matrimonio che duravano due o tre giorni. Riporto il passo:

“Don Eugenio told me some quaint customs of this part of Italy which are fast disappearing. ‘In my youth’, said he, ‘I was a great dancer of the Pizzica Pizzica, and some forty years ago, whenever there was a marriage among the popolo (people), one of the young men of the town, of good family, used to give the bride his arm to church and home again. I was often chosen as ‘Il Cacciatore’, as we call him. There were musicians, and refreshments for all comers, and the ball was begun by the ‘Cacciatore’ and the bride dancing the Pizzica-Pizzica together: while doing so he poured handfuls of bonbons, with which his pockets were stuffed, over her head. When he stopped dancing he gave her a present, and the bride then invited her father-in-law, or his representative, to dance, and after him all the guests in turn, who each gave her a silver carlino (about forty-three centimes). If the bride was pretty and popular, she sometimes got a hundred and fifty francs in this manner; but now’, said Don Eugenio, ‘that blessed progress my uncle is always extolling has changed the carlino into a two-centimes bit, and the poor can no longer afford the expense of musicians, wine, and food. Sometimes a marriage festivity lasted two or three days. Those were fine times!’ added he, sighing”.

Traduzione: “Don Eugenio mi riferì alcune suggestive consuetudini di questa parte d’Italia che velocemente stanno scomparendo. ‘Nella mia gioventù’ – diceva egli  - ‘ero un gran ballerino di ‘Pizzica-Pizzica’, e circa quarant’anni fa, ogni qual volta c’era un matrimonio presso il popolo, un giovane del paese, di buona famiglia, soleva offrire il braccio alla sposa per condurla in chiesa e riportarla a casa. Io spesso ero scelto come il cacciatore, come noi lo chiamiamo. C’erano i musicisti e rinfreschi per tutti i convenuti, e il ballo era aperto dal cacciatore e dalla sposa che ballavano insieme la ‘Pizzica Pizzica’ mentre egli versava manciate di confetti, di cui aveva piene le tasche, sulla testa di lei. Quando egli finiva di ballare, le dava un regalo, e poi la sposa invitava il suocero, o un suo rappresentante, a ballare, e dopo di lui tutti gli invitati a turno, ciascuno dei quali le regalava un carlino d’argento (circa quarantatre centesimi). Se la sposa era attraente e simpatica, talvolta ricavava centocinquanta franchi in questa maniera; ma ora’, diceva Don Eugenio, ‘questo benedetto progresso che mio zio sempre magnifica ha cambiato il carlino in una monetina di due centesimi, e il povero non può nemmeno permettersi le spese della musica, del vino, delle vivande. Talvolta la festa di un matrimonio durava due o tre giorni. Quelli erano bei tempi!’ aggiungeva egli [Don Eugenio], sospirando”.

     Un’altra pagina merita di essere richiamata perché testimonia quanto il ritmo della pizzica pizzica avesse affascinato l’autrice della Terra di Manfredi. Questa volta non siamo nel lembo estremo della penisola salentina, ma a Foggia in occasione della festa della Madonna dell’Incoronata. Dopo averci descritto l’arrivo dei pellegrini, i quali sembravano a J. Ross costituire delle vere processioni di formiche che abitualmente rendevano omaggio alla Tutta Santa girando tre volte intorno alla chiesa, l’autrice ci riferisce che, aggirandosi tra le varie comitive che bivaccavano nei campi, era stata attratta da un allegro gruppo che ballava la pizziza pizzica e la tarantella con tanto trasporto che anche gli asini sembrava che si divertissero al suono dell’organetto e del tamburello. Alle pp. 293-294 così continua J. Ross:

“Leaving the Church we were attracted by the sound of a pipe and a tambourine, mingled with the incessant shrill wild notes of a battente guitar. We went towards a group of peasants and found tge ‘Tarantella’ and the ‘Pizzica-Pizzica’ in ful swing. As we approached, one of the men sprang forward and threw his handkerchief on to my shoulder. ‘Come and dance’, he cried, with aparkling eyes. I was obliged to confess with shame that I did not know how. But I begged for a lesson, so a basket was turned topsy-turvy for me to sit on and the best dancers were called out in my honour. Fews sights have I seen more ‘hinreissend’ that wild Tarantella danced under a blazing sun on the great Apulian plain, with the asphodels, wild fennel, and squills, burnt yellow and brown by the heat, and the lithe figures swaying to the inspiring music. For more than an hour we sat entranced, till at last the evening bell warned us to bid farewell […]”.

Traduzione: “Lasciando la chiesa, fummo attratti dal suono di un flauto e di un tamburello, misto con le acutissime sfrenate note di una chitarra battente. Andammo verso un gruppo di contadini e trovammo la ‘Tarantella’ e la ‘Pizzica-Pizzica’ in piena azione. Appena ci appropinquammo, uno di loro balzò avanti e mi gettò il suo fazzoletto sulla spalla. ‘Vieni a ballare’, gridò, con gli occhi scintillanti. Fui costretta ad ammettere con vergogna di non sapere ballare. Ma desideravo imparare, così una cesta fu messa sottosopra per farmi sedere e i migliori ballerini furono chiamati [a ballare] in mio onore. Pochi spettacoli ho visto più affascinanti di quella selvaggia Tarantella ballata sotto un sole ardente nella grande pianura di Puglia, tra gli asfodeli, finocchi selvatici e gigli di campo divenuti gialli e marrone per il caldo, e le flessuose figure che si piegavano alla musica ispirata. Per più di un’ora restammo estasiati, finché la campana della sera non ci avvertì di salutare […]”.

     Così Saverio La Sorsa descrive l’esecuzione di una pizzica pizzica agli inizi del XX seolo:

“Il maestro di sala invita per prammatica prima la padrona di casa e danza insieme. L’uomo fa salti bizzarri, allarga e stringe le gambe, si dimena, emette esclamazioni di brio e batte spesso le mani o fa schioccare le dita in modo da produrre un suono quasi simile a quello delle castagnole, fa la ronda attorno alla donna e non tralascia di darle qualche leggero urto per incitarla a ballare con più calore; la donna, invece, prende le nocche del grembiule come se volesse riempirle di qualche cosa, lo lascia cadere, mette le mani sul fianco, le alza in alto per far le castagnole, si molleggia e gira quasi sempre nel mezzo della stanza. Dopo un po’ di tempo l’uomo si ferma, ed invita un giovanotto a continuare la danza con la dama e quando questa appare stanca è sostituita da un’altra; sicché ogni uomo balla con due dame ed ogni dama con due cavalieri a turno” (S. LA SORSA, Usi, costumi e feste del popolo pugliese, Bari, 1925, p. 125).

     G. D’ARONCO, Storia della danza popolare e d’arte, Firenze, 1962, p. 291, cit. da L. TARANTINO, la notte dei tamburi e dei coltelli. La danza scherma nel Salento, Nardò, 2001, p. 47:

“Nelle Puglie la donna, invitata dall’uomo, accenna dapprima timidamente alcuni passi, poi sfugge all’uomo, infine raccoglie un lembo di fazzoletto che questi agita, e danza con lui. […] Nelle puglie la ‘tarantella’, chiamata anche ‘pizzica pizzica’ è più composta e misurata della tarantella napoletana. Interessante il fatto che, nella ‘pizzica pizzica’ ogni donna balla successivamente con due uomini e viceversa”.

      Nel D. E. U. M. M. (Dizionario Enciclopedico della Musica e dei Musicisti), Torino, UTET, 1983, a pag. 656, leggiamo, infine, la più recente definizione di pizzica pizzica dovuta a D. Carpitella:

“Tarantella pugliese in cui ogni donna balla successivamente con due uomini (e viceversa), al suono di una canzone accompagnata da strumenti quali la chitarra battente, la fisarmonica, la cupa-cupa, il tamburello. E’ eseguita in occasione di feste paesane oppure per la terapia musicale del tarantismo”.

Salvatore Epifani

Contatti

Salvatore Epifani Via Tommaso Fiore, n. 5
73051 Novoli (Lecce)
3295889489 epifani.s@libero.it